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Una voce per Giulietta Masina. La «butta» la Treccani con il suo monumentale Dizionario Biografico degli Italiani. Già, la Masina. Personaggio la cui notorietà sembra presa in prestito, subito blindata dal doppio legame con Federico Fellini. Che infatti immaginando sua moglie in scena la nascose dentro una figurina esile, da fumetto, quale doveva apparirgli fin da subito: era piccola, delicata, onirica, per niente sexy. Però sapeva anche avere una fisionomia presente, determinata, attenta. E così spesso Fellini la restituì al pubblico: dignitosa, a testa alta, ostinata. Ma non bastava per imporsi nell’immaginario dell’epoca, che necessitava del trampolino di un fisico maggiorato. Così mantenne sempre lo status di «creatura», affettuosa e ironica. Unica ribellione uno spirito polemico, non remissivo, nel sostenere i personaggi: graziosa sì, ma a dir poco vivace. Per Fellini aveva cambiato anche il nome, assecondando la mania del regista per i diminutivi. Forse non è un azzardo sostenere che la Masina sia stata la creatura meno amata del circo onirico di Fellini, perché se si avvertiva in lei il rigore al di là del capriccio del marito, la sua figurina in apparenza non lo faceva intuire.

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Missioni. 31 anni, un costume e una identità segreta. Non vola ma pattuglia la città mentre «il crimine oggi scavalca la pena». Le sue armi? «Autodifesa e segnalazioni anonime alla polizia». Si ispira ai comics e al messicano Barrio Gomez. Saviano? «Senza maschera, come Obama». Caso rifiuti? «Mancano ancora i colpevoli».

Ronde sì, ma «è pronto un provvedimento che stabilisce norme severe, con un albo, sull’esempio dei City Angels», parola del ministro dell’Interno Roberto Maroni. Ronde o presidi che già esistono: «da anni ci sono iniziative su base volontaria non controllate da nessuno». Anche in Emilia Romagna sostiene il ministro. E comunque i «Rambo non saranno ammessi». Rambo no, ma un supereroe? Perché a quanto pare i super eroi esistono, anche da noi.
Ne abbiamo incontrato uno. Il suo nome è Entomo, vive a Napoli. Non è uno scherzo. Entomo è reale. Per la precisione un Real Life Superhero. 31 anni, un segreto «custodito da una ventina di persone», una identità precaria «con i mass media nulla resta segreto per sempre, sono preparato all’eventualità di svelarla, ma non ora». Un fisico normale, vestito con un costume verde chiaro, le maniche scure, nessun mantello, pantaloni neri con stivali marroni, un cappuccio nero e verde. Sul davanti un disegno: « È un segno grafico a metà strada tra un sigma ed una clessidra. Simboleggia l’unione e la comunione al di fuori del tempo spezzato. Anche se la Terra è allo stremo delle sue forze, e siamo fuori tempo massimo, possiamo venirne fuori e ritrovare lo splendore. All’ultimo secondo. Questo è il marchio dell’Uomo-Insetto».

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Ombra, la domenica del Riformista

Super Entomo, l’eroe di Napoli e le sue ronde (di Stefano Ciavatta)

I nuovi equilibri del Secondo Mondo (di Stefano Feltri)

Joe Petrosino, Serpico d’Italia ucciso dalla Mano Nera (di Alberto Tristano)

16 marzo 1959, la Dolce Vita batte il ciak (di Andrea Minuz)

U2 e IRA ( d Antonello Guerrera)

Fulvia La Riformata di Fulvio Abbate

La Zona Cieca di Chiara Gamberale

Le strisce di Stefano Disegni

INTERVISTA. Si conclude una stagione di angosce ed errori per l’ematologo di Miami. Vacilla la legge del padre che «pensava di non avere scelta».Tutti lo sospettano «ma sarà la paura a restituirgli lucidità». Happy end? «Impossibile, e comunque nessuno vuole la sua riabilitazione». Ipotesi cattura? «Facciamo il tifo per lui..»

«È giusto che i genitori facciano il loro mestiere e mostrino Dexter ai figli quando lo riterranno opportuno, ma anche quando si sentiranno pronti. Non voglio assumermi responsabilità (ride)». Legittima la risposta di Jennifer Carpenter quando le si chiede, proprio ora che si è appena sposata con il protagonista della serie tv Michael C. Hall, di cui nella fiction interpreta la sorella, a che età permetterebbe a un suo eventuale figlio di vedere Dexter. Ma Dexter è qualcosa di più di un semplice cattivo: «il telefilm in cui il cattivo é il buono, e viceversa» come hanno titolato un po’ troppo diplomaticamente sintetici ma efficaci i francesi al momento del lancio della seconda stagione su Canal+. Anche il suo fascino è diverso, «ma se vivessi uccidendo ossessivamente anche nella vita reale, non credo che adesso avrei una moglie» aggiunge ridendo Michael C. Hall, alias Dexter Morgan.

Stasera su FoxCrime andrà in onda l’attesa ultima puntata della seconda stagione. Per l’ematologo della polizia che di notte diventa un serial killer di serial killer, è stata la stagione della crisi, complice anche lo sciopero degli sceneggiatori che ha raddoppiato non volendo la tensione delle puntate. Vacilla infatti il codice del padre Harry, ex poliziotto, non si applicano più in automatico le istruzioni per sopravvivere alle conseguenze delle sue stesse pulsioni. Dexter si trova a un passo dall’essere scoperto dai suoi stessi colleghi, ha un nemico in casa, il sergente Doakes, che gli è più simile di quanto non creda. Persino nella vita privata, sorvegliata e blindata, la sua verità nascosta è accerchiata. Che ne sarà dunque di Dexter? Lo abbiamo chiesto allo stesso protagonista, incontrato a Madrid.

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FUSCO. Raccolti gli articoli sulla leggenda dei «figliastri di Francia». Un libro céliniano, «una umanità dura e disperata», la fucina di uno scrittore vero.

«Una specie di requiem, un memoriale, un’urgenza di ricordi» così recita la notizia che accompagna la pubblicazione per Sellerio dei quattro articoli di Gian Carlo Fusco usciti a puntate su Il Giorno nel 1961, riuniti sotto il titolo di La Legione Straniera (Sellerio, pp. 54, euro 9). Un rito sui generis ma di quali esequie? Quelle della leggenda dei «figliastri di Francia» (ma in realtà provenienti da tutto il mondo, primi tra tutti tedeschi e italiani), corpo militare d’elite (che ancora oggi resiste «da 65mila giorni come conteggia fiero il portale online della legione, dalla grafica grossolana come un menù per turisti, spartano ma sempre valido). rifugio peccatorum di una umanità varia, per motivi e nazionalità: «migliaia di Bernard, Muller,Bianchi, Martinez e Johansson sparirono, un giorno, dietro il muraglione del Fort Saint Nicolas, per uscirne trasformati in altrettanti Bibì»

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A Trabant car is driven in front of the former East German Palace of Republic in Berlin

Domani su Ombra del Riformista

Il cronista italiano che fece cadere il Muro di Berlino (di Tonia Mastrobuoni)

Conseratori “rossi” , involuzione a destra (di Alberto Mingardi)

La scomoda morte in Iraq di un soldato-manager (di Anna Mazzone)

Bagaglino Story, Anarchici ma di destra (di Valerio Mattioli)

Un seduttore androgino di nome Silvio (di Andrea Cortellessa)

Fulvia La Riformata di Fulvio Abbate

La Zona Cieca di Chiara Gamberale

Le strisce di Stefano Disegni

Dream of life. Al cinema e in dvd il documentario di Steve Sebring sulla «mamma rocker dai capelli grigi», girato tra il 1995 e il 2007. Una storia oramai «privata», tra lutti familiari e l’addio a Ginsberg e Mapplethorpe.

«Lavoravo in una libreria, disegnavo, posavo per Robert Mapplethorpe, scarabocchiavo tra i miei taccuini. Vagavo tra le macerie degli anni 60. Tanta gioia mischiata a malcontento, tante voci levate e represse, il retaggio della mia generazione pareva in pericolo. Sono riuscita a esprimermi attraverso la sgraziata forma del rock. Forse non sono stata niente altro che una pedina incongrua, ma sono comuque grata per le mosse che ho fatto». Patti Smith ritorna a far parlare di sé con documentario sugli ultimi anni di carriera, Dream of life girato dal fotografo di moda Steve Sebring che la segue dal 1995. Presentato l’anno scorso alla Berlinale e al Sundance Festival, è uscito ieri nelle sale italiane ed è disponibile in libreria in dvd per Feltrinelli.

Ma è davvero una carriera quella di Patti Smith? O è da molto tempo, dal suo ritiro dalle scene nel lontano (per davvero) 1979 dopo un trionfale tour italiano (che consolidò il credito eccezionale presso il pubblico), solo un modo di vivere, il più naturale, il suo? L’immagine che scorre sullo schermo, è quella di una donna esile e ossuta dai capelli lunghi e grigi, un volto sempre spigoloso, una magrezza severa, vestita casual, mamma di due ragazzi. I materiali video e audio sono stati raccolti nell’arco di 12 anni: concerti, reading, interni familiari, vita comune. Ma l’impressione è che sia un film girato tutto d’un fiato e quindi specchio di una vita senza pose, su una icona in disarmo ma non da se stessa, che non viene investita di nuove urgenze (anche se da Katrina a Guantanamo la sua denuncia è sempre rabbiosa) e che dopo un silenzio durato 16 anni, non ha più prodotto dischi all’altezza. Nonostante il declino, il film è una dimostrazione di affetto verso una stagione di “intoccabili” personalità, sospese nel ricordo incantato dei fan.

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A parità di concentrazione e precisione chirurgica ci sarà pure un motivo per cui un filologo è diverso da un torero. Forse perché del toro non si conserva memoria, mentre di uno scrittore sì, deduzione che però va a scapito dei meriti del filologo. Ma è altrettanto probabile che lo studioso non voglia altro destino nell’immaginario collettivo che non sia quello di silenziosa curatela. Nessun fazzoletto sbandierato con foga, vietato sedersi sugli spalti. Eppure Dante Isella, il più eminente studioso di Carlo Emilio Gadda e allievo del maestro Gianfranco Contini, ha trovato l’occasione di provare a forzare la mano.

L’ultimo suo lascito programmato è il diario di Un anno degno di essere vissuto (Adelphi, pp. 158, euro 12), quasi un titolo da potente scrittore americano, ed è il racconto frammentato, tra episodi e capitoli scritti in varie occasioni, di una stagione fondamentale per il futuro filologo di Dossi e del «gran lombardo»: l’incontro con il trentunenne Contini a Friburgo, dove dal 1938 era ordinario di filologia romanza. Tanto più che da quello spazio casuale di incontro in mezzo alla guerra nella neutrale Svizzera, venne fuori anche un altro grande filologo, D’arco Silvio Avalle mentre – pur assodato nelle biografie il lungo insegnamento svizzero dell’autore dei Poeti del Ducento – nel libro conversazione con Ludovica Ripa di Meana (Diligenza e Voluttà), Contini faceva solo degli accenni agli anni della sua prima cattedra.

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