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Fenomenologia di Paolo Mieli, figlio di Renato (di Andrea Romano)

Duran, il Robin Banker che ha fregato i banchieri (di Rossana Miranda)

L’altra classe borghesia van cercando (di Marco Ferrante)

Risorge la Tbc e il virus Hiv ne approfitta (di Anna Meldolesi)

Breve storia di un italiano dal 77 a Facebook (di Francesco Bonami)

e le rubriche

Fulvia La Riformata di Fulvio Abbate

La Zona Cieca di Chiara Gamberale

Le strisce di Stefano Disegni

copy by Annamaria testa

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Domani su Ombra, la domenica del Riformista

Una questione di Testa (Annamaria) di Tonia Mastrobuoni

Raffaele Fiengo, 40 anni di lotta e di Corriere di Alberto Alfredo Tristano

Al gaio intelletto piace “Amici” e le defilippiche di Luca mastrantonio

Parwin Mushthal, la sventura di essere donna in Afghanistan di Emanuele Giordana

Le memorie di Lanzmann, Dall’olocausto alla de Beauvoir di Guido Vitiello

e le rubriche

Fulvia La Riformata di Fulvio Abbate

La Zona Cieca di Chiara Gamberale

Le strisce di Stefano Disegni

MARTIRE. Esce nelle sale “Fortàpasc” di Risi sul giovane pubblicista del “Mattino” ucciso 23 anni fa. Il Vietnam di Torre Annunziata, i suoi articoli scomodi e una morte inaspettata.

Più che in ogni altra città italiana, a Napoli la distinzione tra giornalisti ha sempre avuto il peso drammatico e gerarchico di quello delle caste indiane. Professionisti, pubblicisti, abusivi. Quando Giancarlo Siani venne ucciso sotto casa sua la sera del 23 settembre 1985, alle dieci meno venti, un settimanale locale dapprima titolò, nella prima edizione, «Giornalista pubblicista ucciso sotto casa», poi nella seconda cambiò: «Cronista ucciso sotto casa». La mentalità da casta, appunto, impedì di definire Siani come giornalista e basta. Perché non era professionista. Aveva ancora il tesserino, allora verde, di pubblicista. E per giunta faceva l’abusivo. Al Mattino di Pasquale Nonno, negli anni in cui il direttore del quotidiano veniva scelto dal segretario nazionale della Democrazia cristiana. Insomma un paria dell’informazione, anche da morto ammazzato.

Ha ragione Antonio Franchini quando nell’Abusivo, dedicato proprio alla storia di Siani, suo coetaneo, scrive: «Allora pensavo che non è vero che nascere da una parte o dall’altra è indifferente, perché se non fosse nato a Napoli Giancarlo avrebbe fatto sì l’abusivo, ma per un periodo più breve, e non sarebbe morto. Fino a che non avevo scritto una riga di questa storia non mi ero mai posto il problema se fossi stato amico di Giancarlo; ma, quando ho cominciato, il suo nome facevo fatica anche solo a scriverlo, quasi mi sentissi colpevole di un’appropriazione indebita». È atrocemente vero. Soprattutto per chi è nato in Campania e fa il giornalista. Forse anche per questo il nome di Siani è stato dimenticato per due decenni. Non solo per sciatteria o fastidio o superficialità, a seconda dei casi. Ma paradossalmente anche per pudore e timore. A Napoli e provincia, il suo omicidio è uno spartiacque, e ha segnato chiunque, facendo questo lavoro, gli è sopravvissuto. Giancarlo Siani è stato il primo e unico giornalista ucciso dalla camorra. Abitava a Napoli ma scriveva da Torre Annunziata, ai piedi dello Sterminator Vesevo. Aveva ventisei anni.

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Questa storia del papa che dice che laggiù in Africa non devono usare il preservativo, perché è cosa sessualmente brutta e moralmente ingiusta, mi trova molto preparata. Nel senso che, almeno ai miei occhi di donna alogena della post-modernità, in questo caso c’è poco da ridere e perfino poco da incazzarsi. C’è, semmai, da montare sul suv e raggiungere a perdifiato la parrocchia dove a suo tempo i tuoi parenti ti battezzarono. Poi, una volta lì, farsi consegnare il registro dove il prete segnò l’atto, e scartavetrare via ogni traccia dell’avvenuto battesimo con le tue stesse mani.

Ma cominciamo dalle grandi domande, dall’assoluto: esiste il paradiso?

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ANNIVERSARIO. Compie 40 anni la più controversa unione della storia della musica. Usurpatrice per molti, «orrenda» per Starr, la Ono fu parafulmine della crisi dei Beatles e «madre» per John. Che onora ogni anno accendendo una candela.

Sono passati esattamente quarant’anni dal 20 marzo del 1969. A Gibilterra, si corona l’unione di John Winston Lennon e Yoko Ono: non un semplice matrimonio, ma un happening imperniato sullo slogan pace & amore, che verrà replicato per giorni all’Hotel Hilton di Amsterdam, con una serie di interviste collettive, i famosi bed-in, e il lancio dell’inno Give Peace A Chance. I due sposi si sono conosciuti a Londra, tre anni prima, all’Indica Gallery. All’epoca lei è già trentatreenne, maritata due volte e con una figlia; Lennon, invece, ha ventisei anni, una moglie, Cynthia, e un figlio, Julian. Lei espone le sue opere performative. Lui, uno dei quattro Beatles «più famosi di Gesù Cristo», tenta di irriderla, ma, per dirla con le sue stesse parole, ne rimane «totalmente stregato». Installazioni in movimento, come nella scia artistico-concettuale del gruppo Fluxus, a cui questa alto-borghese di Tokyo appartiene fin dall’inizio: fra le altre, una scala che “dice sì”, grazie a uno straniante gioco di riflessi. L’aneddotica vuole che sia stata proprio questa scala a invaghire John. Ci vorranno un paio d’anni, poi, per definire uno dei legami più dibattuti della storia del pop.

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Domani su Ombra, la domenica del Riformista

Giancarlo Siani, milite ignoto anticamorra di Fabrizio D’Esposito

Ritratto di Cass Sunstein di Mario Ricciardi

La fedeltà intatta di Yoko Ono di John Vignola

Un’ossessione chiamata corpo maschile di Walter Siti

Che il vizio sia almeno capitale di Filippo La Porta

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Fulvia La Riformata di Fulvio Abbate

La Zona Cieca di Chiara Gamberale

Le strisce di Stefano Disegni

Missioni. 31 anni, un costume e una identità segreta. Non vola ma pattuglia la città mentre «il crimine oggi scavalca la pena». Le sue armi? «Autodifesa e segnalazioni anonime alla polizia». Si ispira ai comics e al messicano Barrio Gomez. Saviano? «Senza maschera, come Obama». Caso rifiuti? «Mancano ancora i colpevoli».

Ronde sì, ma «è pronto un provvedimento che stabilisce norme severe, con un albo, sull’esempio dei City Angels», parola del ministro dell’Interno Roberto Maroni. Ronde o presidi che già esistono: «da anni ci sono iniziative su base volontaria non controllate da nessuno». Anche in Emilia Romagna sostiene il ministro. E comunque i «Rambo non saranno ammessi». Rambo no, ma un supereroe? Perché a quanto pare i super eroi esistono, anche da noi.
Ne abbiamo incontrato uno. Il suo nome è Entomo, vive a Napoli. Non è uno scherzo. Entomo è reale. Per la precisione un Real Life Superhero. 31 anni, un segreto «custodito da una ventina di persone», una identità precaria «con i mass media nulla resta segreto per sempre, sono preparato all’eventualità di svelarla, ma non ora». Un fisico normale, vestito con un costume verde chiaro, le maniche scure, nessun mantello, pantaloni neri con stivali marroni, un cappuccio nero e verde. Sul davanti un disegno: « È un segno grafico a metà strada tra un sigma ed una clessidra. Simboleggia l’unione e la comunione al di fuori del tempo spezzato. Anche se la Terra è allo stremo delle sue forze, e siamo fuori tempo massimo, possiamo venirne fuori e ritrovare lo splendore. All’ultimo secondo. Questo è il marchio dell’Uomo-Insetto».

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Anniversario. Il 9 marzo del 1989 moriva di Aids uno dei più controversi fotografi del ‘900. C’era ancora il Muro e Robert aveva solo 42 anni. Amico di Patti Smith, divenne lo sguardo «scultoreo» dell’underground di NY. Esteta raffinato e sempre scandaloso: dalle borchie sado maso all’arte «e degenerata» della lussuria, negli anni di Reagan.

Il muro di Berlino era ancora in piedi anche se Ronald Reagan stava riscaldando la guerra fredda facendo sudare gli orsi sovietici con una strategia che oggi potremmo definire Reagan Warming. L’economia si stava a poco a poco riprendendo dopo il collasso del 1987 e l’Aids portava avanti il suo massacro senza fare prigionieri. Il virus non guardava in faccia nessuno colpendo fra le stelle e dentro le stalle. Le vittime illustri scomparivano senza pietà nel fiore dei propri anni. Fra questi Robert Mapplethorpe, uno dei più famosi e controversi fotografi del ventesimo secolo che la signora con la falce andò a prendere venti anni fa il 9 marzo del 1989 in un ospedale di Boston.

Aveva appena 42 anni anche se nei suoi ultimi incredibili autoritratti ne dimostrava almeno venti in più divorato dalla malattia ma anche consumato da una vita eccessiva trangugiata come un bicchiere d’acqua da un naufrago appena ripescato dall’oceano. Nato da una famiglia cattolica di origini irlandesi a Queens nel 1946 aveva avuto modo di imparare fin da piccolo ad avere dimestichezza con il peccato. Già giovanissimo non aveva avuto problemi a sfidare le pene dell’inferno pur di conquistare il proprio piacere a costo anche di dover soffrire. Amico della cantante Patti Smith era entrato subito a far parte della cultura underground di New York in piena ebollizione agli inizi degli anni 70.

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Domani su Ombra del Riformista

Manchester, da Dickens a Ferguson (di Antonello Guerrera)

Oltre i politici e i partiti, la Casta è lo Stato canaglia (di Alberto Mingardi)

l’Unità, ragazzi con la pistola (di Piero Sansonetti)

Mapplethorpe, pornografo rinascimentale (di Francesco Bonami)

Addio a Pinelli, fabbro di capolavori con Fellini e Flaiano (di Michele Anselmi)

Fulvia La Riformata di Fulvio Abbate

La Zona Cieca di Chiara Gamberale

Le strisce di Stefano Disegni

IMMAGINE. Un libro sul «corpo del capo», una foto che lo ritrae, inequivocabile. L’altra faccia del machista e dongiovanni è un Berlusconi «che non ha mai smesso di civettare con noi». Il complimento più bello mai ricevuto dal premier? «Sei una gran bella figa!». Unico scopo, allontanare da sé la morte, «il vero tabù».

berlusconi

Guardate la fotografia qui a destra. Sembra passato tanto tempo da quando ci s’invitava a non demonizzarlo, a liberarci dalla sua «ossessione». Si ricorderà come il dimissionario segretario del Pd, nella campagna elettorale destinata a sancirne il definitivo trionfo, si spinse sino a censurare il nome del «candidato dello schieramento avverso». Come se ogni censura non fosse in primo luogo una preterizione: presenza tanto più schiacciante quanto più rimossa. Un calco vuoto che s’è rivelato maschera funebre: pietra tombale su ogni residua ipotesi di poterglisi opporre.

La verità è che incredibilmente la «sinistra italiana» – o quanto ci ostiniamo a designare con quest’ossimoro storico – non ha ancora smesso di sottovalutare Berlusconi. Se i suoi fan lo idolatrano acriticamente, nostro compito storico è allora esercitare una critica dell’idolo, del feticcio-Berlusconi. Anzitutto prendendo atto che è la sua l’entità storica più rilevante degli ultimi sessant’anni, in Italia; e tra le più importanti in assoluto. Alla fine dello scorso secolo James G. Ballard ironizzava sul panico di cui erano preda i redattori di un magazine che vedeva trionfare, al referendum fra i lettori su chi fosse stato il più importante personaggio del Novecento, ovviamente Adolf Hitler. È un residuo di moralismo buonista (che sta passando di moda a una tale velocità da minacciare di farcelo presto rimpiangere) quello che sdegna queste scale di grandezza – non ovviamente, «di valori».

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